La Cascina Colombina a Monticelli Pavese

Pepi Merisio è nato a Caravaggio nella bassa bergamasca nel 1931. Comincia a fotografare da autodidatta nel 1947 e progressivamente diventa protagonista del mondo amatoriale degli anni '50. Ottiene in quegli anni numerosi e prestigiosi riconoscimenti in Italia e all'estero. Nel 1956 inizia la collaborazione con il Touring Club Italiano e in seguito con numerose riviste: "Camera", "Du", "Photo Maxima", "Pirelli", "Look", "Famiglia Cristiana", "Paris-Match" e tante altre. Nel 1962 passa al professionismo e l'anno seguente entra nello staff di "Epoca", allora la più importante rivista per immagini italiana. Nell'agosto 1963 vince la seconda edizione del premio "Città di Fermo" dedicato al reportage fotografico, con il celebre servizio "In morte dello zio Angelo". L'ambito ideale della poetica di Merisio è, insieme con la tradizione contadina e popolare della provincia, anche il variegato mondo cattolico. Nel 1964 pubblica su "Epoca" il suo grande servizio "Una giornata col Papa" avviando così un lungo lavoro con Paolo VI.
Da questo momento, mentre continua la collaborazione con riviste internazionali (celebri i tre numeri monografici di "Du: Vaticano", "Siena" e "Italia cattolica") avvia una intensa attività editoriale. Caposaldo della sua attività di narratore per immagini è l'opera "Terra di Bergamo" in tre volumi, edita nel 1969 per il centenario della Banca Popolare di Bergamo. Da allora ha pubblicato oltre un centinaio di libri fotografici con editori diversi, tra i quali Atlantis, Bär Verlag, Conzet Huber, Orell Fűssli, Zanichelli, Electa, Silvana, Bolis, D'Auria, Pubbliepi, Grafica e Arte, Lyasis e l'ECRA di Roma, con la quale ha curato la collana "Italia della nostra gente", che ha raggiunto i trentatré volumi. Per le editrici Atlantis e Zanichelli pubblica 11 volumi sulle Regioni d'Italia e otto volumi per la Bolis sulle Terre marchigiane. Per il Centro Studi Valle Imagna ha curato: "Per le antiche strade" (2003), "Un altro Paese" (2005) e "In valle Imagna" (2009). Per la Lyasis ha curato, nel 2002, il volume "Mi guarda Siena" con gli scritti di Mario Luzi. Tornando al 1964 ottiene il Premio nazionale di fotogiornalismo, mentre nel 1965 ottiene il Premio internazionale di fotogiornalismo a Genova. Nel 1972 la Rai gli dedica una puntata di "Occhio come mestiere" curata da Piero Berengo Gardin. Da ricordare le mostre alla Helmaus di Zurigo per i cinquant'anni della Atlantis (1980); "158 fotografie" al Teatro Sociale di Bergamo (1985) poi portata a Palazzo Barberini a Roma (1986); "Il Duomo guarda Milano" all'Arengario (1986); "La Valtellina" alla Fiera di Milano (1988) e con Elio Ciol al Meeting di Rimini (2007).
Nel 1980 "Progresso Fotografico" gli dedica un numero monografico; nel 1982 L'Editoriale Fabbri lo accoglie nella collana "I grandi fotografi", mentre è del 1996 il numero a lui dedicato da "Foto Magazine". Nel 2007 la FIAF gli dedica il volume "Grandi autori" avendolo nominato nel 1988 Maestro della Fotografa Italiana.
Nel 2008 il Ministero degli Affari Esteri ha incaricato Pepi Merisio di allestire la mostra fotografica "Piazze d'Italia" da esporre nelle principali capitali europee.
Nel 2010 viene allestita, per la Regione, la mostra "Ieri in Lombardia" nel grattacielo Pirelli a Milano. Nel 2011 è invitato alla 54° Biennale di Venezia; nello stesso anno, a Chieti una mostra antologica sull'Abruzzo nell'Italia d'ieri. Nel 2015 le due mostre "Custodire la presenza" per la Misericordia Maggiore di Bergamo e "Gente di Valtellina" per il FAI di Sondrio.
Pepi Merisio muore a Bergamo il 2 febbraio 2021.

La Società anonima tubi Mannesmann, dedicata alla produzione di tubi in acciaio, fu fondata a Milano nel 1906 e nel 1908 iniziò la costruzione dello stabilimento di Dalmine, in provincia di Bergamo, che nel 1909 effettuò la prima produzione.
Allo scoppio della Prima guerra mondiale la proprietà fu rilevata dalle acciaierie bresciane Franchi-Gregorini e nel 1920 fu costituita la Società anonima stabilimenti di Dalmine. Al termine del conflitto la Franchi-Gregorini cedette le proprie quote alla Banca Commerciale Italiana e alla FIAT, che a sua volta le cedette alla Banca.
Nel 1924 la società venne quotata in Borsa e nel 1933, come altre aziende siderurgiche in difficoltà rilevate da banche, fu salvata con la costituzione dell'IRI - Istituto per la Ricostruzione Industriale.
Nel 1937 la Dalmine venne ceduta al gruppo Finsider e tra gli anni Trenta e Quaranta la ragione sociale dell'azienda fu cambiata prima in "Dalmine S.A." e poi in "Dalmine SpA".
Il 6 luglio 1944 lo stabilimento di Dalmine, impegnato nella produzione di armamenti bellici, fu bombardato dalle forze Alleate e solo nel 1946 poté riprendere il pieno servizio.
Negli anni seguenti l'azienda contribuì allo sviluppo della produzione di gas in Italia da parte di ENI - Ente Nazionale Idrocarburi fornendo materiale per la perforazione e tubi per i gasdotti.
Nel 1989 la Finsider fu sostituita dall'Ilva nella gestione della Dalmine, che nel 1996 fu privatizzata: in tale occasione l'Ilva cedette le proprie quote ad altri soggetti tra cui il gruppo Technint e la Banca di Roma.
Nel 2002 Technint costituì il gruppo Tenaris, che raggruppò tutte le attività nella produzione di tubi in acciaio e di cui fa parte ancora oggi anche la Dalmine.