Ritratto di Giuseppe Garibaldi

Domenico Lucchetti fu un fotografo, fondatore - nell'ottobre 1960 - della «Bottega Bergamo» in Piazza Vecchia: dapprima iscritto alla camera di commercio e industria come attività di studio fotografico, in seguito (1974) amplia le attività introducendo anche la licenza di commercio al minuto di stampe fotografiche, volumi, cartolerie e mappe.
Numerose sono state le collaborazioni con altri fotografi e studiosi di storia locale: Domenico Lucchetti risulta come autore e coautore in molte pubblicazioni.

Nato a Nizza, condusse brevi studi per poi dedicarsi, dal 1821, all'attività di marinaio mercantile nella società paterna. Durante il viaggio verso Turchia e Crimea nel 1833 l'incontro con alcuni seguaci di C.-H. de Saint-Simon e con esponenti della Giovane Italia mazziniana lo influenzò profondamente, avviando la maturazione di una coscienza democratica non profondissima sotto il profilo teorico, ma già ricca di quegli ingredienti - l'umanitarismo, la solidarietà con i popoli in lotta per l'indipendenza, l'affermazione dei valori di libertà in tutti i campi, incluso quello religioso - che in seguito caratterizzeranno la sua figura di combattente e di uomo politico. Tornato a Nizza entrò nella Giovine Italia e aderì a un progetto insurrezionale mazziniano arruolandosi nella Marina sarda: fallito sul nascere il moto, Garibaldi venne condannato a morte in contumacia dal tribunale militare genovese.
Emigrò sotto falso nome in Brasile nel 1835 e si inserì nella rete locale di cospiratori mazziniani. Operò per l'affermazione dell'ideale repubblicano combattendo per l'indipendenza del Rio grande do Sul e contro i traffici marittimi dei paesi europei alleati del Brasile. Si trasferì nel 1840 in Uruguay, dove combatté alle dipendenze del governo progressista contro i conservatori sostenuti dall'Argentina, fondando nel 1843 la Legione italiana, che fu protagonista vittoriosa di numerosi fatti d'arme. In quegli anni si formò il Garibaldi soldato e si diffuse la fama di comandante e di patriota disinteressato e generoso, difensore dei popoli oppressi.
L'eco delle sue capacità giunse in Italia, dove gli ambienti democratici lo considerarono l'uomo in grado di realizzare il programma politico unitario. Garibaldi riprese le relazioni con i mazziniani europei e decise di lasciare il Sudamerica: rientrò a Nizza nel 1848, acclamato dalla popolazione. Scelse di combattere a Milano, a Bergamo e nel Varesotto nella fase conclusiva della prima guerra di indipendenza, senza riuscire però a mutarne il corso negativo. Nel 1849 prese parte alla difesa della Repubblica romana attaccata dall'esercito francese, scrivendo con i suoi volontari sul Gianicolo pagine tra le più gloriose del Risorgimento. La tragica morte della moglie Anita in agosto, durante la fuga da Roma, aggiunse accenti umani e romantici alla sua figura.
Garibaldi trascorse all'estero gli anni seguenti, dal 1850 al 1855, adattandosi a lavori artigianali e a incarichi di commercio marittimo per vivere e mantenere i figli lasciati a Nizza. Fu in Tunisia, a New York, in Centroamerica e Sudamerica, in Cina e a Londra. Confermò apertamente il distacco dal mazzinianesimo, già evidente durante la difesa di Roma in nome di una decisa azione militare, e dichiarò l'adesione al programma "Italia e Vittorio Emanuele" considerato concreto e praticabile. Mazzini tuttavia sperò di poter riportare Garibaldi negli ambienti democratici repubblicani, consapevole del suo ascendente in Italia e all'estero.
Acquistata parte dell'isola di Caprera tra il 1855 e il 1856 il patriota vi si stabilì con il figlio Menotti. Mantenne contatti con i moderati piemontesi e con il primo ministro Cavour, riuscendo a definire il proprio contributo al futuro conflitto contro l'Austria in veste di generale comandante di un reparto volontario adibito a supportare l'esercito regolare. La scelta compiuta influenzò migliaia di patrioti, democratici e moderati, che aderirono a loro volta al programma "Italia e Vittorio Emanuele". Dall'aprile al luglio 1859, durante la seconda guerra di indipendenza, i Cacciatori delle Alpi combatterono con successo nella zona pedemontana lombarda. Le vittorie accrebbero la fama di Garibaldi e il suo slancio verso l'obiettivo unitario, in nome del quale dopo l'armistizio di Villafranca maturò vivi contrasti con Cavour, alimentati dalla linea attendista e diplomatica del politico piemontese e dalla cessione di Nizza alla Francia quale pegno per la guerra condotta a fianco del Piemonte.
Garibaldi promosse quindi la ripresa dell'iniziativa patriottica democratica e aderì nel 1860 al progetto di insurrezione in Sicilia voluto dai capi della sinistra più radicale e dallo stesso Mazzini. Pur sostenendo che la nazione doveva realizzare combattendo il proprio destino contro intrighi diplomatici e di corte, il generale ribadì alla partenza per il Meridione il motto "Italia e Vittorio Emanuele", facendo riferimento ai personali positivi rapporti con il sovrano. Nonostante gli interventi di Mazzini e Cattaneo dopo l'ingresso dei volontari a Napoli e a seguito della discesa dell'esercito sardo in Italia centrale, la Spedizione dei Mille si concluse con l'annessione del sud al regno unitario sabaudo. L'impresa rappresentò per Garibaldi il momento più alto della sua vita, come uomo e come militare, consolidando il mito dell'eroe in camicia rossa e dei suoi volontari quali fondatori della patria.
Il contrasto tra Garibaldi e il governo si accentuò. Il generale assunse quali obiettivi dell'autonoma azione democratica Venezia e Roma e organizzò due spedizioni militari nel 1862 per sottrarle rispettivamente all'Austria e al Papato: entrambe furono fermate dall'esercito, Garibaldi nella seconda venne ferito e arrestato ad Aspromonte. Tra l'indignazione dell'opinione pubblica in Italia e all'estero per l'episodio, il generale, pur profondamente deluso, invitò alla pacificazione nazionale.
Si mosse da Caprera nell'estate del 1866 su incarico del governo, che gli affidò un corpo di volontari da impiegare nelle vallate del Trentino durante la terza guerra di indipendenza. Nonostante le vittorie, l'avanzata verso il Tirolo fu bloccata dall'armistizio tra Prussia e Austria, che permise comunque l'annessione del Veneto all'Italia. L'anno seguente Garibaldi visitò la regione acclamato dalla popolazione. Il suo orizzonte divenne Roma, la cui conquista avrebbe promosso la lotta anticlericale per la rigenerazione della nazione. Organizzò quindi una spedizione militare che avrebbe dovuto appoggiare l'insurrezione interna fomentata dai suoi inviati. Il moto non si diffuse però e i garibaldini dovettero affrontare l'esercito francese a Mentana, subendo una pesante sconfitta. Anche questa volta il governo italiano mantenne, come nel 1862, un atteggiamento ambivalente, permissivo all'inizio e repressivo dopo le reazioni diplomatiche negative.
Esacerbato e confinato a Caprera, sempre più ostile alla Chiesa, a Mazzini e al governo, Garibaldi assistette all'unione di Roma all'Italia nel settembre del 1870 senza intervenire né essere coinvolto. In ottobre rispose alla chiamata della Francia, assumendo il comando di un'armata volontaria nella guerra contro la Prussia, impegnata con successo nell'area centro-orientale del paese.
Tornato a Caprera si dedicò alla definitiva edizione delle sue Memorie e alla scrittura di romanzi ambientati nel contemporaneo, riecheggianti ideali ed esperienze personali. Garibaldi intensificò in questa fase della vita il contatto con l'opinione pubblica, inviando interventi su temi di attualità ai principali periodici, nel desiderio di richiamare i lettori all'impegno personale nella vita pubblica.
Eletto alla Camera per il collegio di Roma, si stabilì nella capitale nel 1875 per quasi un anno e promosse progetti di grandi opere pubbliche a vantaggio del lavoro e del progresso: la deviazione del Tevere, la bonifica dell'Agro romano e la costruzione di un grande porto a Fiumicino. Nessuno venne realizzato. In precarie condizioni fisiche rientrò a Caprera, compiendo in seguito brevi spostamenti solo in occasione di celebrazioni patriottiche.
Morì il 2 giugno 1882. La sua scomparsa suscitò ampio cordoglio in tutto il mondo. In Italia in particolare Garibaldi fu un riferimento per la sua passione civile, per i valori di coraggio, libertà, onestà, generosità e concordia da lui praticati e promossi. Soprattutto alla sua figura si legò la memoria del Risorgimento e degli ideali che l'avevano animato, in particolare tra la gente comune.