UNA MERAVIGLIOSA INVENZIONE

Nata nel 1839 con il contributo di artisti, scienziati e tecnici, la fotografia riscuote fin da subito un enorme successo. La notizia dell’invenzione del dagherrotipo -il primo processo fotografico brevettato, capace di impressionare la realtà con dettagli sorprendentemente precisi- ha una rapida diffusione. A spiegarne le potenzialità ai cittadini bergamaschi è per primo il Giornale della Provincia di Bergamo che il 15 marzo 1839 pubblica un articolo dedicato all’inventore Louis Mandé Daguerre (1787-1851).

L’ARRIVO DELLA FOTOGRAFIA A BERGAMO

Cinque anni dopo, il 10 settembre 1844, lo stesso quotidiano annuncia l’arrivo in città, in occasione della Fiera di Sant’Alessandro, del dagherrotipista Ottone Feldmann e racconta come, grazie alla macchina di Daguerre e “per opera di una mano invisibile, ma la più sicura e infallibile, chi lo desidera ottiene in pochi secondi (da 25 a 30 circa) la propria immagine”. La creazione relativamente veloce e semplice di una stampa del tutto assomigliante alla persona ritratta cattura immediatamente l’interesse del pubblico, tant’è che negli anni ’60 dell’Ottocento vengono addirittura costruite fotocamere finalizzate alla realizzazione di biglietti da visita, le cosiddette cartes de visite, corredate dall’immagine dell’effigiato. È in questo stesso decennio che a Bergamo bassa aprono numerosi atelier fotografici.

LO STUDIO FOTOGRAFICO ANDREA TARAMELLI

Tra le botteghe più rinomate vi è quella di Andrea Taramelli, “pittore fotografo” noto per le sue abili doti di ritrattista. Lo studio fotografico, fondato nel 1863, inizialmente in società con Marieni, è costituito da una terrazza “Sul Mercato dei Bovini” attrezzata con una sala di posa atta a cogliere la clientela desiderosa di ottenere un proprio ritratto. Nel 1868 l’atelier è spostato in Contrada San Bartolomeo, località che nel 1874 viene rinominata via T. Tasso. Tutte queste trasformazioni di luogo richiedono a Taramelli un tempestivo aggiornamento del marchio con l’indirizzo dello studio, stampato al verso delle cartes de visite.

UN “PREMIATO STABILIMENTO”

Il 1870 è un anno importante per Taramelli: il conferimento della medaglia di rame all’Esposizione Provinciale Bergamasca lo induce a modificare ancora una volta la decorazione del proprio timbro, aggiungendo la riproduzione dei due lati della medaglia. Negli atti dell’esposizione si legge: “Il Giurì invitato ad esprimere le proprie idee intorno alle immagini prodotte con la fotografia ed esposte in questa occasione, non potendo considerarle come opera d’arte, non vuol rifiutarsi però di avvertire quelli fra i fotografi dotati di miglior senso artistico nell’atteggiamento della figura, o nel loro aggruppamento. E pertanto da cosiffatto punto di vista non esita a designare come degno di Medaglia di rame il fotografo: TARAMELLI ANDREA […]”.

UNA PROFESSIONE TRAMANDATA DI PADRE IN FIGLIO

Alla morte di Andrea, avvenuta nel 1887, la gestione della bottega viene assunta dal figlio Edoardo, che sceglie di mantenere nella titolazione dell’esercizio commerciale il nome del padre. Anche Edoardo è da subito riconosciuto come un fotografo valente e capace: come il padre, nel 1892 riceve una medaglia, questa volta d’oro, all’Esposizione operaia d’arti e mestieri in Bergamo. Le vedute urbane o naturalistiche che il Museo conserva nell’Archivio fotografico Sestini sono solo alcune testimonianze della bravura del figlio in ambito paesaggistico. È Edoardo a immortalare alcuni edifici della città o a documentare tra la fine del secolo e primi del Novecento l’area della Fiera, compresi i primi abbattimenti del complesso avvenuti attorno al 1910. A lui vanno attribuite anche una serie di sottili stampe all’albumina che hanno per soggetto la Bergamasca -dai laghi alle montagne fino alle attività produttive delle valli. Non solo, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del nuovo secolo, la professionalità dello studio Andrea Traramelli è così riconosciuta da far sì che la committenza si rivolga a questo stabilimento fotografico per la riproduzione delle opere d’arte del territorio, come i quadri dell’allora Galleria Carrara o le sculture allegoriche del Battistero di Bergamo.


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A cura di Jennifer Coffani